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Veduta Rimbaud, dalla dogana dell’Harrar alle Edizioni Mermod
L’editore, collezionista e mecenate Henry-Louis Mermod (1891-1962) asseriva di non fare nulla se non per puro piacere ed è proprio per la gioia di potere incontrare ogni giorno Ramuz che questo industriale molto fortunato in affari sosteneva di avere fondato la sua casa editrice, nel 1926. Grazie al suo gusto ineccepibile realizzerà libri di ottima fattura per autori emblematici fra cui, da un lato, i romandi Ramuz, Cingria, Gilliard, Roud o Matthey e poi Jaccottet, Chappaz e Chessex ai loro esordi, e dall’altro i francesi Colette (che esclamò: «Come veste bene Mermod!»), Claudel, Giraudoux, Larbaud, Ponge e Valéry. Spirito vivace ed eclettico, Mermod – a detta di Jaccottet, che fu il suo collaboratore prediletto – era avido «di ogni cosa materiale e spirituale». Rimbaud – il «mistico allo stato brado» di Claudel – doveva necessariamente affascinare l’editore, che fra l’altro era nato lo stesso anno della scomparsa del poeta, nel 1891, un segno che non doveva essergli sfuggito.
Nell’ottobre del 1931 Mermod dedica un intero numero della sua bella rivista, «Aujourd’hui», alle «Vues sur Rimbaud» di G. Roud; dà inoltre alle stampe due edizioni delle «Illuminations», nel 1944 e nel 1962 (con guazzi di F. Léger), pubblica il «Rimbaud» di H. Miller (nel 1952) e conserva nelle sue collezioni delle strane testimonianze sulla vita del poeta che aveva rinnegato la sua vocazione per diventare commerciante in Abissinia, prigioniero di un’attività tanto incessante quanto volontariamente arida, di una noia atroce e perpetua: queste le parole che ricorrono nel suo epistolario. Mermod, l’industriale-editore che sembrava infischiarsene in modo così elegante delle cose, nella sua dimora losannese – Fantaisie – doveva trovare in questi documenti materia per profonde meditazioni...
Rimbaud era fornitore del re dello Scioa, Menelik II, che lo aveva invischiato in complicazioni finanziarie senza fine, e trattava anche con il suo consigliere, l’ingegnere svizzero Alfred Ilg, a nome del quale firmò la ricevuta della dogana di Harrar: l’originale era andato perso, ma ricomparve nel Fondo Mermod accompagnato da una lettera di Menelik II, scritta in quei caratteri della lingua ge’ez che facevano impazzire Cingria.
«La vera vita è assente», scriveva Rimbaud, indizi come questi ci mettono tuttavia sulle sue tracce...
Questo contributo rientra nell'ambito della serie «Vedute» dell'Archivio svizzero di letteratura (ASL). Tradotto da Paola Gilardi. Altre trouvailles d'archivio verranno pubblicate regolarmente in questa sede con l'autorizzazione dell'ASL e degli autori. Di recente pubblicazione: Vahé Godel (in tedesco e francese).
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